Sopravvivrà lo spettatore a Sopravvissuto – The Martian di Ridley Scott? Difficile, perché a conti fatti, anzi a film concluso, è solo il fortunatissimo astronauta Matt Damon /Mark Watney a (spoiler) scamparla dopo 140 minuti di film. Creduto morto durante una tempesta di detriti e pietre su Marte dai colleghi di viaggio, Mark si rialza, si toglie una freccia di metallo conficcata nel ventre tartarugoso come San Sebastiano, quando gli altri colleghi astronauti sono già dovuti ripartire senza indugi per la Terra, e appronta una scuoletta di sopravvivenza sull’ostile e muta Marte: tra piantine di patata fatte crescere con cacca umana e un complesso sistema di irrorazione artificiale. Lo salveranno i compagni astronauti che l’hanno abbandonato, l’intuito di un matematico nerd, la collaborazione Usa/Cina, con il supporto dell’attenzione mondiale di media e social.
La spiritosaggine spinta con cui la ditta Scott/Drew Goddardammanta dialoghi e senso ultimo del film è però il dato concreto, persistente, talvolta fastidioso, con cui lo spettatore osservatore del rosso pianeta deve subito fare i conti. Tutti i protagonisti, sopravvissuti o meno, senza distinzione di gerarchia sociale e professionale, giocherellano con i gingilli spaziali, le missioni interstellari, le frasi da camerata militare, le parole con cui si regolano rapporti umani, familiari, e politici ultraplanetari. Superato questo impervio scoglio da bar periferico, avvisiamo immediatamente che c’è il miracolo tecnologico del 3D da affrontare. Generalmente la pratica ai più piace, come sappiamo che si possono anche trovare sale in cui c’è il 2D, ma la domanda rimane: a che serve questo espediente tecnico quando metà film è girato dentro agli uffici della Nasa statunitense, dei corrispettivi colleghi cinesi, o dentro ad un astronave che sembra il Korova Milk Bar di Arancia Meccanica? (il Fatto Quotidiano)