Il primo giorno di primavera dell’anno ha inizio il 20 marzo 2017, alle 11.29 ora italiana. Esattamente a quell’ora il Sole ha attraversato uno dei due punti, nella sfera celeste, in cui l’eclittica e l’equatore celeste si intersecano: il cosiddetto punto vernale o equinozio di primavera (l’altro corrisponde all’equinozio d’autunno). Il Sole apparirà perfettamente allo zenit a mezzogiorno per un osservatore posto all’equatore, e la durata del dì sarà pari a quella della notte: 12 ore esatte. Oggi e domani il terminatore o zona crepuscolare, la linea immaginaria che divide la zona d’ombra da quella illuminata del nostro pianeta, collegherà esattamente i due poli terrestri e apparirà verticale. Da qui a settembre, andrà inclinandosi progressivamente regalando luce e calore solare all’emisfero settentrionale (il nostro) a scapito di quello meridionale: per noi, vorrà dire l’inizio della bella stagione, il susseguirsi di primavera ed estate.
Tra i banchi di scuola abbiamo imparato che la primavera inizia tradizionalmente il 21 marzo. Perché allora ne stiamo parlando in anticipo? Non ci sono errori, l’equinozio cade proprio il 20 marzo, e rimarrà in questa data almeno fino al 2020. La “colpa” – se così si può chiamare – è da ricercare nel calendario gregoriano attualmente in uso in gran parte del mondo. Un sistema imperfetto perché non rappresenta esattamente l’anno siderale, ossia il periodo orbitale della Terra intorno al Sole, che è pari a 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 10 secondi.
Il calendario gregoriano si basa sull’anno tropico o solare di 365 giorni: contempla cioè circa un quarto di giorno in meno di quello che serve alla Terra per completare la propria rivoluzione intorno al Sole. Questo fa sì che ogni anno l’equinozio cada 6 ore più tardi, finché non interviene – ogni 4 anni, come quest’anno – l’anno bisestile, con un giorno “extra” a febbraio che serve a “riportare indietro” la sincronizzazione tra anno anno siderale e calendario gregoriano.
Nonostante questa necessità di correzione, il calendario gregoriano è quello che, storicamente, funziona meglio. Il primo a tentare una sistematizzazione simile a quella attuale fu, nel 46 a.C., Giulio Cesare, che incaricò l’astronomo Sosigene di Alessandria di rimettere in pari le date rispetto alle stagioni (l’equinozio primaverile cadeva, tanto per capirci, all’inizio dell’inverno). Si stabilì che il 46 a. C. avesse 445 giorni; il caos precedente era tale che quello fu detto ultimus annus confusionis. Sisogene definì un anno di 365 giorni, con un anno bisestile ogni 4: era il calendario giuliano. Sotto Augusto furono apportate piccole modifiche: il 5° mese fu dedicato a Giulio Cesare (iulius, luglio) e il 6° Augusto lo dedicò a se stesso (augustus, agosto). L’anno iniziava a marzo: settembre, ottobre, novembre e dicembre sono così chiamati perché erano il 7°, l’8°, il 9° e il 10° mese dell’anno latino. Il calendario giuliano fu riformato da papa Gregorio XIII (calendario gregoriano): dato che un anno solare effettivo dura 365 giorni + 5 ore e 48′, nei secoli questo scarto aveva fatto cadere l’equinozio primaverile l’11 marzo, con un anticipo di 10 giorni. Per andare in pari fu presa una misura drastica: la gente si coricò la sera del 4 ottobre del 1582 e si risvegliò… il 15 ottobre. Per raffinare la durata media dell’anno, poi, furono soppressi i bisestili degli anni centenari non multipli di 400 (il 2000 è stato bisestile, ma il 2100, il 2200 e il 2300 no). (Tratto da Focus)