CASTELFIDARDO (AN) – Deriso dai bulletti a scuola perché non veste firmato come i compagni. La storia del ragazzino fidardense preso in giro da alcuni coetanei, e addirittura costretto a togliersi le scarpe per dimostrarne attraverso l’etichetta l’autenticità, è diventata oggetto di confronto in aula tra insegnante e studenti. L’episodio era destinato a rimanere nell’ombra se la mamma non fosse stata attenta a cogliere il disagio del figlio e la scuola pronta ad intervenire espletando il suo ruolo educativo e non solo didattico. Non ci troviamo, questa volta, di fronte ad atti fisici violenti che per la loro platealità hanno interessato anche le forze dell’ordine, come successo nelle ultime settimane in due istituti superiori della Valmusone. Eppure insulti sistematici ed atteggiamenti ghettizzanti possono infliggere ferite ancora più profonde. Come nel caso dell’alunno frequentante le medie a Castelfidardo, che per mesi si è sentito chiamare “poveraccio” per il suo modo di vestire. «Sono colpi allo stomaco metaforici che hanno un effetto peggiore rispetto all’aggressività “agita”, andando a toccare nella sfera emotiva le corde dell’umiliazione. Anche se di bassa intensità – spiega Francesca Romeo, psicoterapeuta di Ancona e Mdr Practitioner, esperta nel trattamento dei traumi -: nello sviluppo di un adolescente il trauma ripetuto ha un impatto sulla memoria traumatica che va ad incidere sul senso di inadeguatezza e di vergogna con effetti sociali importanti. Il sentirsi inadatti, discriminati, inferiori, messi da parte, sono vissuti emotivi che ci si porta dietro crescendo e che possono avere conseguenze sociali anche da adulti». (Corriere Adriatico)
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